Mattia Giovanni Giurelli nasce l’11 aprile 1897 in via Mura a Porchiano del Monte, frazione del comune di Amelia. Il padre, Giuseppe, è agricoltore e organizza le leghe contadine; nella bella stagione gestisce pure un’osteria, che poi diventa stabile, in via Piazza. La madre, Adelaide Rinaldi, figura nello stato civile “casalinga”; morirà nel 1907, costringendo il marito a far ritorno dall’Argentina dove era emigrato.

Mattia rimane dunque orfano appena ragazzo. Ha un fratello e una sorella più piccoli, il padre decide di metterlo in un collegio di religiosi per farlo studiare. Al ritorno in paese matura la sua decisione di emigrare negli Stati Uniti. Ma è minorenne, ci sono seri problemi di procure. Il barbiere socialista Arbace Baleani, compagno d’ideali del padre, gli prepara le carte. Serve poi un accompagnatore adulto: parte con il compaesano Giuseppe Silvestrelli.

Mattia – siamo nel 1913, anno di massima “febbre” migratoria italiana – si imbarca per gli Stati Uniti. Il suo accompagnatore si ferma a New York; lui prosegue per la Pennsylvania, ricongiungendosi con i tanti compaesani che lavorano in Arnold. Ma alle miniere e all’industria siderurgica preferisce le fabbriche tessili. Emigra nello stato contiguo del New Jersey, scegliendo quale meta Paterson, capitale nordamericana della seta e del comunismo libertario.

Qui gli emigrati italiani sono tantissimi. Mattia entra nel circuito anarchico e s’impegna nell’organizzazione di reti sindacali e antifasciste (nella Anti-Fascist Alliance of North America, e poi nella Mazzini Society), raccoglie fondi per sostenere la causa di Sacco e Vanzetti, nasconde gli esuli politici provenienti dall’Italia. Sono gli anni della presidenza Roosvelt.
Operaio e sindacalista, memore delle lotte degli Industrial Workers of the World entra nei ranghi della Textile WorkersUnion of America affiliata al Congress of Industrial Organizations (fondato nel 1935 in seguito a una scissione dell’ American Federation of Labor). Anima il Dover Social Club, uno straordinario luogo di aggregazione operaio dove – sotto l’etichetta ufficiale dell’apoliticità imposta dalla legislazione vigente – si mescolano l’impegno sindacale per il movimento dei lavoratori, la lotta ai fascismi, la formazione culturale, lo svago.

Mattia nel frattempo si è guadagnato la cittadinanza americana, come tanti altri emigranti italiani. Molti, tra i più giovani e i loro figli, hanno preso le armi per combattere il nazifascismo. Ma la fine del fascismo significa anche possibilità di riallacciare rapporti con il paese natio. Mattia, complice il deciso miglioramento della propria condizione economica – da operaio diviene imprenditore, sempre nel settore tessile – si rende disponibile a finanziare la Casa del Popolo di Porchiano. Non ha alcuna voglia di dimenticare, anzi, nel 1952 realizza un viaggio in Italia assieme alla moglie Mary. Arriva con la dotazione di una cinepresa, gira scene di vita paesana di cui sono stati salvati alcuni straordinari fotogrammi.

Dopo 56 di emigrazione, a 72 anni, decide per il ritorno. A Porchiano diventa rapidamente un punto di riferimento per i giovani del paese: fonda il circolo Arci, fornisce i fondi per acquistare un pezzo di bosco sotto le mura, “salvandolo dalla speculazione” per dedicarlo a nuove attività di ricreazione ed aggregazione popolare, così come aveva appreso a Paterson. Mattia mette in campo un’energia incontenibile. Porta in dote una memoria lunga che attraversa il Novecento e lega vecchio e nuovo Mondo. Tutto ciò ne fa un personaggio memorabile, amatissimo dai più giovani, ben oltre Porchiano.

Il 24 gennaio 1979 si spegne in una stanza dell’ospedale di Amelia. Decide di farsi cremare a Spoleto. L’ultimo saluto avviene per le vie di Porchiano, nel contesto di una cerimonia laica immortalata dalle riprese di Paolo Boccio cui prende parte tutto il paese, per una volta anche le donne. Un masso erratico, con l’iscrizione di un’epigrafe sormontata da una grande A cerchiata, simbolo eterno di libertà e anarchia, accoglie gli attuali frequentatori del Parco Mattia.